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PROSTITUZIONE
PROVENTI TASSABILI DA ATTIVITA’ ECONOMICA
di Florinda Beatrice
CASS. CIV. sez. 5, 27/07/2016, n. 15596
“Qualora,
a seguito di accertamento sui redditi, risulti che la contribuente
abbia fornito false dichiarazioni in ordine all’attività effettivamente
svolta e si accerti, invece, che i guadagni costituiscono proventi
dell’attività di prostituzione, tali redditi vanno considerati come
guadagni derivanti da un’attività economica come tutte le altre e, in
quanto tali, tassati.
L’attività
di prostituzione qualora svolta in forma abituale, sarà assimilabile al
lavoro autonomo, mentre se viene svolta, sempre autonomamente ma in
forma occasionale, rientrerà nella categoria dei redditi diversi. In
entrambi i casi l’attività liberamente esercitata dà luogo a redditi
tassabili.”
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1.
LA VICENDA PROCESSUALE.
La quaestio
trae origine dall’indagine della Guardia di finanza relativa ad una
verifica fiscale nei confronti di una donna che, pur non avendo mai
presentato dichiarazione dei redditi, risultava intestataria di diverse
automobili (anche di lusso), acquirente di un appartamento, titolare di
vari contratti di locazione immobiliare, nonché intestataria di dieci
conti correnti attivi e di gestioni patrimoniali.
Sulla base degli accertamenti effettuati, l’Agenzia delle Entrate
emetteva un avviso di accertamento nei confronti della contribuente,
mediante il quale recuperava a tassazione ai fini Irpef il reddito
imponibile non dichiarato.
La contribuente impugnava l’avviso dinanzi alla competente Commissione
tributaria provinciale, fondando il ricorso sulla asserita non
tassabilità dei redditi accertati in quanto proventi derivanti
dall’attività di prostituzione dalla stessa esercitata.
Il giudice tributario di primo grado accoglieva parzialmente il
ricorso, riconoscendo rilevanza reddituale ai proventi dell’attività di
meretricio, ma ritenendo che essi fossero soltanto quelli risultanti
dai versamenti sui conti correnti effettuati in contanti, escludendo
quelli effettuati mediante assegni.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello, che veniva accolto dalla
Commissione tributaria regionale. Quest’ultima, infatti, ribadiva che i
proventi conseguenti all’esercizio dell’attività di prostituzione
rientrano nella categoria residuale dei redditi diversi, quale
prestazione volontaria di un servizio dietro corrispettivo (rapporto
sinallagmatico).
Contro la sentenza di appello la contribuente proponeva ricorso per cassazione..
2.
I MOTIVI DI RICORSO.
Parte
ricorrente in sintesi fondava la sua difesa sul presupposto che da un
lato, vi è la mancanza all’interno del nostro sistema tributario di una
norma che preveda espressamente l’imposizione dei proventi derivanti
dallo svolgimento dell’attività di prostituzione e, dall’altro, sulla
considerazione che gli stessi, non siano qualificabili quali proventi
illeciti. A ciò aggiungendo, tra le altre, doglianze relative alla
qualificazione della “occasionalità della prestazione” e alla carenza
di motivazione inerente l’ individuazione della categoria reddituale.
Dall’altra parte, l’Ufficio fiscale, la predetta attività doveva
considerarsi svolta “in modo professionale” .
3. I PUNTI DI DECISIONE DELLA CORTE.
I
giudici di legittimità, rigettando il ricorso, hanno confermato la tesi
della tassabilità dei proventi derivanti dall’attività di
prostituzione. Questo il percorso argomentativo seguito dalla suprema
Corte:
Sulla
scorta della decisione n 2528 del 2010 sez.5 la Suprema Corte ha
ribadito che la contribuente (come da Sua stessa dichiarazione)
svolgeva liberamente ed autonomamente l’attività di prostituzione,
dalla quale in effetti derivavano i proventi risultanti dai conti
correnti, con seguente imponibilità degli stessi.
Tale imponibilità, deriva secondo la Suprema Corte dal fatto che la prostituzione è “assimilabile
al lavoro autonomo, se svolta in forma abituale, ovvero rientrante
nella categoria dei redditi diversi se svolta, sempre autonomamente, ma
in forma occasionale” ai sensi della lett. f) e art 67 lett. l) D.p.r 22 dicembre 1986 n. 197 (v. Cass. sent 20578 del 13/0572011).
Tale
ragionamento muove le basi dal presupposto che dalla lettura del Testo
unico delle imposte sui redditi non si ricava una definizione unitaria
di reddito, ma si evince la previsione di diverse categorie reddituali,
il cui denominatore comune è rappresentato dalla provenienza “da una
fonte produttiva”. Secondo la Corte, dunque, all’attività di
prostituzione, se di per sé priva di profili di illiceità (diversamente
dall’attività di favoreggiamento o sfruttamento della stessa), va
riconosciuta natura reddituale poichè l’attività di prostituzione è in
grado di generare sempre (occasionale o abituale che sia) reddito
imponibile ai fini IRPEF. La stessa Corte, infine ricorda che
l’ordinamento civile riconosce comunque una tutela parziale
all’attività di prostituzione, includendo la prestazione sessuale
dietro corrispettivo nella categoria dell’obbligazione naturale, “la
quale, se non consente il diritto di azione, attribuisce alla persona
che ha svolto l’attività di meretricio il diritto di ritenere
legittimamente le somme ricevute in pagamento della prestazione”..
4.
LA NORMATIVA DI RIFERIMENTO SULLA TASSAZIONE.
Ai
fini della corretta individuazione degli articoli di riferimento,
dunque, secondo le linee guida stabilite dalla Suprema Corte occorrerà
verificare la tipologia della “prestazione”, ovvero se continuativa o
occasionale.
Nel primo caso l’art. 53 del T.U.I.R. afferma che: “ Sono
redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio di arti e
professioni. Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio
per professione abituale, ancorchè non esclusiva, di attività di lavoro
autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI, compreso
l’esercizio in forma associata di cui alla lett. c) del comma 3
dell’art.5”
Ai fini della individuazione dei Redditi di lavoro autonomo, dunque,
premessa indispensabile è che il contribuente presti direttamente e
personalmente la propria opera in modo continuativo e prevalente, con
la conseguenza che i compensi percepiti dal lavoratore autonomo al
netto delle spese sostenute nel periodo d’imposta, in ossequio al
principio di inerenza, costituirebbero reddito rilevante ai fini della
imposizione diretta. Il reddito da prostituzione, pertanto,
concorrerebbe a formare, ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 917/86
(Testo unico delle imposte sui redditi), il reddito complessivo del
contribuente.
Trattandosi, inoltre, di una prestazione di servizi, sarà applicabile,
in virtù dell’art. 1 del D.P.R. n. 633/72, anche l’imposta sul valore
aggiunto calcolata applicando l’aliquota ordinaria, del 22%, sul
compenso dovuto (base imponibile).
Rientra invece nella residuale categoria di reddito diverso ex art. 67,
lett. l), del D.P.R. n. 617/86, quando, il reddito derivi dalla
assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere.
La disposizione normativa de qua, infatti, dispone che “ Sono
redditi diversi, se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non
sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese
commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice,
né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente: (...) I redditi
derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o
dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”.
L’occasionalità dell’attività dunque, non esclude la tassazione, ma ne
determina solo una differente qualificazione giuridica del reddito
prodotto.
In proposito si segnala che l’esercente l’attività di prostituzione,
secondo giurisprudenza ormai consolidata, comporta sia l’adempimento di
un obbligo di “fare” (eseguire una prestazione sessuale di carattere
satisfattorio), sia l’adempimento di un obbligo di “permettere”che la
controparte ponga in essere una determinata condotta, traendo, così, un
“vantaggio”, patrimonialmente valutabile, dall’accordo negoziale. In
sede di determinazione del reddito netto ex art. 71 TUIR, comma 2, si
dovrà dunque tenere conto, delle spese effettivamente sostenute nel
periodo d’imposta, purchè debitamente documentate e inerenti
all’esercizio dell’attività di lavoro autonomo occasionale.
5.
LE DECISIONI EUROPEE.
La
questione della prostituzione era già stata affrontata in passato dalla
Corte di Giustizia con la nota sentenza dell’11/04/2000 (cause riunite
C-51/96 e C-191/97) nella quale, partendo dalla interpretazione delle
norme comunitarie (Trattato CEE art .2), ha proceduto a qualificare
l’attività consistente nella prestazione di servizi sessuali come una
vera e propria “attività economica”.
Successivamente la Corte di Giustizia, è intervenuta nuovamente sulla
questione. Ha quindi ribadito il principio per cui tale attività è da
considerarsi in effetti di attività economica, lasciando tuttavia la
libertà ad ogni Stato Membro il potere di decidere quando la stessa
possa dirsi esercitata in forma autonoma e quando occasionale. In
particolare la Corte di Giustizia ha osservato che la tassabilità dei
proventi dell’attività di prostituzione (in tal senso anche sentenza
del 20 novembre 2001, causa C-268/99) “costituisce
una prestazione di servizi retribuita, la quale rientra nella nozione
di attività economiche (…) e spetta al giudice nazionale accertare,
caso per caso, se sussistono le condizioni per ritenere che la
prostituzione sia svolta come lavoro autonomo”, vale a dire al di fuori di fenomeni, penalmente rilevanti, di induzione, costrizione o sfruttamento).
Sulla scia delle sentenze di cui sopra alcuni ordinamenti europei (in
particolare quelli dell’Europa occidentale (v. Olanda), hanno
provveduto a regolamentare espressamente la tassazione del reddito da
prostituzione, sull’assunto che l’esercente l’attività di meretricio,
come un “normale” contribuente è tenuto alla pari degli altri e,
conformemente ai principi di uguaglianza formale e sostanziale, alla
esecuzione delle prestazioni tributarie dovute in relazione al reddito
imponibile prodotto.
6.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.
Alla
luce di quanto sopra esposto e vista la recente sentenza della Suprema
Corte si può dunque affermare che, è sempre tassabile l’attività di
prostituzione (salvo in caso di illeicità).
Tuttavia, laddove il contribuente riuscisse a provare che l’attività è
stata svolta solo occasionalmente (mancata abitualità prescritta
dall’art. 53 del T.U.I.R.), l’imposizione dovrebbe rilevare ai soli
fini IRPEF.
I tributi IRAP ed IVA, invece, non sarebbero dovuti in virtù della
tipologia di reddito conseguito. E’ tuttavia utile in caso di
contestazioni da parte dell’Ufficio che il contribuente conservi
scrupolosamente tutta la documentazione relativa all’attività
occasionale svolta, osservando i termini previsti dalla disciplina
tributaria. In sede di presentazione della dichiarazione dei redditi,
il contribuente sarà in ogni caso tenuto a compilare anche il quadro
“RL”. Ai fini previdenziali non si esclude l’iscrizione nella Gestione
separata dell’I.N.P.S. ove siano superate determinate soglie di reddito.
Nei casi più generali tuttavia, la professione di cui si discute, a
parere di chi scrive deve farsi rientrare nella categoria del lavoro
autonomo, e come tale assoggettabile anche ai fini IVA, poiché
dell’art. 1 del D.P.R. n. 633/72, “ L’imposta
sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni
di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di
imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da
chiunque effettuate”. Salvi infatti alcuni casi, chi esercita
tale “arte” (all’infuori di quella rientrante nell’illeicità) di fatto
lo fa per professione abituale.
A parere di chi scrive, in ogni modo, è opportuno che il Legislatore
tributario intervenga chiarendo la portata e l’ambito di applicazione
delle disposizioni fiscali vigenti anche sulla scorta di quanto
stabilito dalla Corte di Giustizia.
copyright Centro Studi Pentesilea
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PROSTITUZIONE
PROVENTI TASSABILI DA ATTIVITA’ ECONOMICA
di Florinda Beatrice
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