SCUDO FISCALE E DICHIARAZIONE: AUTODENUNCIA DI RESIDENZA FITTIZIA?
di Florinda Beatrice
CASS. CIV. sez. 5, 30/09/2016, n. 19484
“Lo scudo fiscale non assurge a prova della natura fittizia del trasferimento di residenza”
[clicca qui per scaricare l'articolo seguente in formato pdf ]
[ clicca qui per ISCRIVERTI ALLA NOSTRA MAILING LIST E LEGGERE IN ANTEPRIMA LA NOSTRA RUBRICA ]
1.
LA VICENDA PROCESSUALE.
La
vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato a un
pilota di motociclismo nell’anno 2010, anno di imposta 2003,
relativamente a un recupero a tassazione dei redditi IRPEF, IRAP,
IVA, imposta sostitutiva, addizionali regionale e comunale, sanzioni
e interessi (ai sensi dell’41 del DPR 600 del 1073, 55 del DPR 633
del 1972 e 16 bis del TUIR)
In
secondo grado, l’appello del contribuente veniva parzialmente
accolto. Tralasciando gli altri punti della decisione che hanno poi
permesso l’accoglimento parziale ci si sofferma ad analizzare la
questione principale che poi sarà oggetto del ricorso in Cassazione
e all’origine della sentenza in epigrafe, ovvero l’adesione allo
scudo fiscale del 2001 come prova della residenza.
In
particolare tutta la vertenza si instaurava sul ragionamento
effettuato dalla Commissione tributaria Regionale per cui avendo il
contribuente aderito allo scudo fiscale di cui alla L: 350/2001, lo
stesso, in effetti avrebbe autodichiarato la propria residenza
fiscale in Italia per l’anno contestato. Ciò sul presupposto
secondo la linea seguita dalla CTR che la ratio
legis
dello scudo fiscale tende ad estendere il concetto di residenza in
Italia, anche al fine di allargare la sfera id utilizzazione
dell’istituto, senza però che vi sia interesse per un cittadino
straniero a scudare capitali in Italia. Né l’iscrizione all’AIRE
del resto viene ritenuta sufficiente perché il soggetto possa essere
ritenuto residente in un Paese estero.
La
CTR si sofferma inoltre sul concetto di rimpatrio di capitali e
regolarizzazione di capitali, per cui nel primo caso i capitali
possono legittimamente circolare in Italia, mentre nel secondo caso
con la procedura id regolarizzazione il contribuente può conservare
all’estero la propria attività oggetto di emersione.
Il
ricorrente proponeva ricorso (con 13 motivi di impugnazione) per
Cassazione avverso la sentenza della CTR Lazio n. 40/38/13 del 13
.02.2013 lamentando in particolare la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 2 del DPr.n.917 del 1986 e degli artt, 11,12
e 15 del D.l. 25 settembre 2001 n . 350 (convertito, con
modificazioni, dalla Legge 23 nov. 2001 n. 409) anche in relazione al
principio di affidamento del contribuente. Censurando nello specifico
i punti a);b); c) della sentenza di secondo grado ove il Giudice di
Appello nell’affrontare la questione della residenza fiscale del
contribuente, aveva attribuito efficacia decisiva all’adesione allo
scudo fiscale traendo da esso elemento probante di dichiarazione
fittizia di residenza in capo al ricorrente.
Lamentava
il ricorrente che sulla base del ragionamento appena indicato la CTR
aveva omesso di considerare la documentazione fornita, idonea secondo
lo stesso a vincere la presunzione di residenza di cui all’art. 2,
comma 2 bis TUIR, così come il fatto che lo stesso aveva dichiarato
ai sensi dell’art 15 del D.l. 350/2001 di essere residente nel
Principato di Monaco, nonché la sua iscrizione all’AIRE.
La
Corte di Cassazione tralasciando la questione relativa al se
l’istituto della regolarizzazione delle attività finanziarie
detenute all’estero fosse riservato ai residenti come previsto
espressamente per il rimpatrio oppure fosse utilizzabile anche dai
non residenti, pone la sua attenzione sugli effetti della
dichiarazione di adesione allo scudo fiscale e il suo impatto sulla
residenza fiscale.
In
particolare la Corte partendo dai criteri di determinazione della
residenza nel territorio dello Stato, riportati all’art. 2 del
D.P.R. 917 del 1986, ove al comma 2 individua n. 3 presupposti
alternativi per la qualificazione del soggetto fiscalmente residente
e soffermandosi sull’analisi in particolare del comma 2 bis
(vigente ratione
temporis)
relativo ai paesi c.d. Black List, giunge ad affermare che la
residenza di un soggetto iscritto all’AIRE e residente nel
Principato di Monaco (paese black
list)
va accertata e valutata alla stregua della norma in questione, la
quale effettivamente prevede una presunzione relativa di residenza in
Italia con la possibilità tuttavia, data al contribuente, di
fornirne prova contraria. Ora, secondo la Corte, erroneamente il
Giudice di Appello ha valutato la dichiarazione di adesione allo
scudo fiscale come un’autodenuncia da parte del ricorrente di
fittizietà della sua residenza. La dichiarazione resa ai fini
dell’art. 15 del D.l. 350 del 2001 infatti non ha e non può avere
l’effetto di rendere superfluo un accertamento degli elementi
probatori forniti dal contribuente al fine di superare la presunzione
relativa di residenza: “l’avere
inteso regolarizzare- e non rimpatriare- alcune attività detenute
all’estero ai sensi della disciplina de qua, non determina per ciò
solo, in assenza di una chiara previsione (o di specifica e idonea
dichiarazione), l’effetto di della acquisizione, da parte del
dichiarante, della residenza in Italia, né quello di privarlo, per
una sorta idi implicita rinuncia, del diritto di prova contraria.,
convertendo la presunzione in certezza”.
Nemmeno,
secondo la Suprema Corte, si può considerare come prova anche il
caso in cui l’istituto sia accessibile ai soli residenti, poiché
secondo la Corte “in
generale, il possesso di un requisito di ammissione si accerta in
base alla normativa ce lo regola e non in virtù della presentazione
della domanda che lo esige.”
In
definitiva secondo la Suprema Corte il comportamento di adesione allo
scudo non può avere così drastiche conseguenze, ovvero di
autodichiarazione di residenza fittizia, dovendo al più essere
elemento da valutare nel più ampio complesso di elementi probatori
acquisiti in giudizio e in relazione all’art.2 TUIR.
Per
quanto attiene agli altri motivi di ricorso, secondo la Suprema
Corte, l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso principale
comporta l’assorbimento della quasi totalità delle altre censure.
In particolare risultano assorbite per la Corte il terzo motivo, il
quarto e quinto (relativo all’esame della documentazione prodotta
dal contribuente per dimostrare la sua effettiva residenza nel
Principato di Monaco), l’ottavo, il nono, il decimo, undicesimo,
dodicesimo e tredicesimo (attinenti alla ripresa a tassazione e che
presuppongono l’accertamento della residenza del ricorrente). In
merito al sesto e settimo (omessa pronuncia in sede di appello di
alcune questioni proposte in sede di gravame e questioni di natura
preliminare) la Corte ritiene assorbite le questioni di omessa
pronuncia e quelle di natura preliminare inammissibili o infondate.
Mentre per quanto attiene la questione rimanente di cui al settimo
motivo lo ritiene anch’esso assorbito, così come ritiene assorbito
la questione incidentale.
Cassata
la sentenza impugnata, rigettati i motivi non assorbiti nel sesto,
rinvia per la causa, anche per le spese, alla Commissione Tributaria
Regionale del Lazio in diversa composizione.
2. NORMATIVA DI RIFERIMENTO - LO SCUDO FISCALE DI CUI AL DL 350/2001
Il
decreto -legge 25 settembre 2001 n 350 e ss. Modifiche al Capo III
“emersione delle attività detenute all’estero” dopo aver
individuato i soggetti interessati (art. 11) nelle le persone
fisiche, enti non commerciali, società semplici e associazioni
equiparate ai sensi dell’art. 5 del TUIR, si sofferma a
disciplinare gli istituti del rimpatrio e della regolarizzazione.
In
particolare l’art. 12 “rimpatrio” prevede al comma 1: “ Nel
periodo tra il 1 novembre 2001 e il 28 febbraio 2002 gli interessati
fiscalmente residenti in Italia che rimpatriano, attraverso gli
intermediari, denaro e altre attivita' finanziarie (detenute almeno
al 1 agosto 2001 )) fuori del territorio dello Stato, senza
l'osservanza delle disposizioni di cui al decreto-legge n. 167 del
1990, possono conseguire gli effetti indicati nell'articolo 14 con il
versamento di una somma pari al 2,5 per cento dell'importo dichiarato
delle attivita' finanziarie medesime, che non e' deducibile, ne'
compensabile, ai fini di alcuna imposta, tassa o contributo. Le
attivita' cosi' rimpatriate possono essere destinate a qualunque
finalita', ((rientrano nel patrimonio personale e i relativi guadagni
rientrano conseguentemente nel reddito imponibile.))”
L’art.
15 “regolarizzazione delle attività finanziarie detenute
all’estero”: “In
conformita' alle disposizioni del Trattato istitutivo della Comunita'
europea in materia di libera circolazione dei capitali, gli
interessati che comunque detengono all'estero alla data di entrata in
vigore del presente
decreto
attivita' finanziarie, possono conseguire gli effetti indicati
nell'articolo 14, ad eccezione del comma 8 relativamente alle
attivita' finanziarie mantenute all'estero e regolarizzate, con il
versamento della somma indicata nell'articolo 12, comma 1, ovvero con
le modalita' indicate all'articolo 12, comma 2, nel rispetto dei
termini previsti nel medesimo articolo.
Le
disposizione di cui al Capo IIIdel Dl 350 del 2001 sono state estese
ai sensi del 6 del dl 24.12.2003, relativamente ad attività detenute
fuori dal territorio dello stato alla data del 31 dicembre 2001.
3. LA RESIDENZA FISCALE
I
parametri per la determinazione della c.d. residenza fiscale
delle persone fisiche sono governati dall’ art. 2
del D.P.R 917/1986 (Tuir), il quale stabilisce, ai fini delle imposte
sui redditi un soggetto è da considerare fiscalmente residente in un
determinato paese quando, per la maggior parte del periodo
d’imposta, si trova nelle seguenti condizioni (tra loro
alternative): 1) è iscritto nell’anagrafe della popolazione
residente; 2) ha la residenza; 3) ha il domicilio nel territorio di
tale Stato, ai sensi del codice civile.
Ad
integrazione di suddetta è stata introdotta un’ulteriore
disposizione (il co. 2 bis), a mezzo della quale il
Legislatore imputa al contribuente l’assolvimento dell’onere
della prova (in ipotesi di residenza tributaria in paesi a fiscalità
privilegiata). L’originario testo normativo, poi rimodulato con
Legge Finanziaria 2008, prevedeva che “si considerano altresì
residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati
dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o
territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con
decreto del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta
Ufficiale”.
Dal
1.01.2008 l’art. 2 comma 2 bis viene così riformulato: !2-bis.
Si considerano altresi' residenti, salvo prova contraria, i cittadini
italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e
trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con
decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da pubblicare
nella Gazzetta Ufficiale”
4. LA PROVA CONTRARIA
Si
pone l’accento, che la giurisprudenza costante, ritiene non
sufficiente ai fini della prova della residenza estera di un soggetto
italiano, l’iscrizione all’AIRE. I cittadini italiani, infatti,
seppure cancellati dall’anagrafe della popolazione residente, se
trasferiti in Stati con regime fiscale privilegiato si presumono
residenti in Italia, salvo prova contraria. Diversamente quindi dai
requisiti soggettivi costituiti dal domicilio o dalla residenza della
persona fisica ex art. 43 del Codice Civile per cui il domicilio di
una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede
principale dei suoi affari e interessi,
mentre la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora
abituale.
Ne
consegue che la cancellazione dall’anagrafe della popolazione
residente e la conseguente iscrizione all’AIRE non è un requisito
sufficiente per determinare la residenza al di fuori del territorio
dello Stato, allorché il soggetto abbia ancora nel territorio dello
Stato il proprio domicilio,
inteso come “sede principale degli affari ed interessi
economici, nonché delle proprie relazioni personali, non risultando
determinante, a tal fine, il carattere soggettivo ed elettivo della
scelta dell'interessato, ma dovendosi contemperare la volontà
individuale con le esigenze di tutela dell'affidamento dei terzi, per
cui il centro principale degli interessi vitali del soggetto va
individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti
interessi viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai
terzi” (Cassazione Civile, Sentenza n. 5385/2012). A tal fine,
ciò che conta non è la presenza continuativa in un luogo, quanto la
volontà di rimanervi e ritornarvi appena possibile, nonché
mantenervi le proprie relazioni familiari e sociali (Cassazione
Civile, Sentenza n. 961/2015).
Ai
fini di supportare la sussistenza della residenza estera, occorrerà,
pertanto, presentare documentazione idonea a suffragare la vita
quotidiana nel paese di trasferimento, quali per esempio: passaporto
straniero, immobile all’estero, il contratto in caso di lavoro
dipendente, carta carburante, carta SMAC(es. per San Marino),
il contratto di
affitto relativo ad un appartamento nel Paese estero, la regolare
corresponsione di affitti e spese accessorie, la congruità delle
spese relative alle varie utenze in uso in detto appartamento, la
stipulazione di utenze telefoniche, televisive, e di contratti
bancari (sulla documentazione v. Cassazione Civile, Sentenza n.
20285/2013).
In
merito ai legami affettivi e personali si ricorda che “non
assumono rilevanza
prioritaria, ai fini probatori della residenza fiscale” (v.
cfr. Cass.6501 del 31.03.2015), tuttavia è pur vero che ai
fini della determinazione del luogo della residenza normale si
riconosce la preminenza dei legami professionali e personali
dell’interessato in un “luogo determinato”, intendendo con ciò
“la
presenza fisica di quest’ultimo nonché quella dei suoi familiari,
la disponibilità di un’abitazione, il luogo di esercizio delle
attività professionali e quello in cui vi siano interessi
patrimoniali”.
(Cass
n. 12311 del 15 giugno 2016). La
giurisprudenza più recente,
infatti, quale criterio di individuazione della residenza fiscale di
un individuo, ha
inteso fare riferimento al luogo nel quale sono prioritariamente
localizzati gli interessi economici ed effettivi della persona,
partendo dalla sfera delle relazioni
personali,
inteso come insieme degli interessi morali, sociali e familiari del
contribuente (tra gli altri, Cassazione Civile, Sentenza n.
12311/2016 e Cassazione Civile, Sentenza n. 9723/2015), fino a
giungere alla sede principale dei suoi affari e degli interessi
economico-patrimoniali.
Si
ricorda infine che particolare attenzione al luogo
nel quale è situato il centro delle relazioni personali ed
economiche dell’individuo
è posto anche dalla Convenzione contro le doppie imposizioni. In
caso di doppia
residenza fiscale,
infatti, troverà applicazione la c.d. “tie-break
rule”
(articolo 4, paragrafo 2 del Modello di convenzione contro le doppie
imposizioni Ocse),
con le quali gli Stati contraenti individueranno lo Stato di
residenza dell'individuo ai fini fiscali.
5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE:
Alla
luce della sentenza de qua dunque lo scudo fiscale (anno 2001) non
può assurgere a prova fondamentale della residenza fittizia del
contribuente, al più varrà come indizio da suffragarsi da parte
dell’Agenzia delle Entrate con ulteriori elementi probatori.
L’adesione allo scudo non comporta la rinuncia alla prova contraria
né tale adesione (mancando indicazioni in tal senso) è ammessa solo
per i residenti in Italia. Spetta la contribuente fornire idonee
prove a supporto della tesi della residenza estera, specialmente
quando la residenza è spostata in un paese c.d. black
list.
Si fa presente che le stesse considerazioni valgono anche per la
Repubblica di San Marino i cui residenti o lavoratori, nonostante lo
Stato sia uscito dalla black list con la ratifica della Convenzione
contro le doppie imposizioni, sono stati e sono ancora oggetto di
controlli da parte della Guardia di Finanza Italiana.
.
copyright Centro Studi Pentesilea
[ clicca qui per ISCRIVERTI ALLA NOSTRA MAILING LIST E LEGGERE IN ANTEPRIMA LA NOSTRA RUBRICA ]
|